giovedì 6 settembre 2007

Delirium Daniel

Emilio Sola

– Non c’è problema, signore – mi disse e mi sorrise. Mi chiamò signore e mi sorrise, quel deficiente, non mi devono chiamare signore né sorridermi, mi fa incazzare quando mi chiamano signore e mi sorridono, mi fanno venire in mente mio nonno, magro magro dentro a un vestito che si reggeva da solo, in piedi accanto al divano su cui era seduta mia nonna, che alza il dito in aria e mi dice “Ricordati che diventerai un signore, un giorno”, e mi sorride, mi fanno venire in mente quel conta palle di mio nonno, che ora mi ritrovo uno straccione con un impermeabile del sessantacinque addosso pure d’estate, un cappello mezzo mangiato dai topi, una macchina da scrivere coi tasti scombinati e la fame che mi fa puzzare, “Ricordati che un giorno diventerai un signore”, mi diceva, e poi quel sorriso, fortuna per lui che se lo è portato un cancro altrimenti l’avrei strozzato con queste mani, a lui, a mia nonna e chissà chi altro ancora… e che cazzo! Comunque, era una stanza, solo una stanza, senza nulla dentro, pareti e basta. – Non c’è problema, signore – mi disse e prese a premere pulsanti e a tirare leve, che erano lì, nelle pareti, e chi le aveva viste! Premi e tira e schiaccia e sfrega e dalle pareti uscì di tutto: letto, fornelli, cesso, lavandino, poltrona, tavolino, c’erano pure dei quadri, e che cazzo, anche i quadri!! Poi tira una di quelle dannate leve e una parete si gira e appiccicata alla parete chi ti rivedo?… no, non ci credo, non è vero, devo farla finita con ‘sta robaccia, farla finita prima o poi… e chi ti rivedo, porcaputtana, ti rivedo mia nonna… no no no, non mi sono sognato un bel niente, era lei eccome, mi gioco un coglione e mezzo che era proprio lei… no no no no… e quella roba non l’avevo mica ancora toccata, no no no, neanche un sorso, lo giuro davanti alla Corte Suprema del New Jersey, signore, con tanto di Bibbia sotto la mano, se vuole… e c’era mia nonna, tonda, con i capelli raccolti sulla nuca, bianchi… bianchi e grigi, coi ferri per l’uncinetto e una maglia lunga lunga lunga che le si srotolava ai piedi, gli occhi nascosti dietro due lenti spesse spesse, gli occhiali con una sola stecca, mezzi storti sul naso, un neo peloso al lato del mento, due baffetti sbiaditi ai lati delle labbra, le pantofole e i gambalini con l’elastico stretto ai polpacci, e mi guarda da sopra gli occhiali, mentre ripete lo stesso movimento all’uncinetto, e mi dice “E ricordati che devi…”, e manco finisce di dire quel che deve dire che quello… Sedatavo, Sedano, Setunonfossiquiiiii tira un’altra leva, o preme un interruttore e affianco a mia nonna compare… sì, proprio lui siori e sioreeee my granfather venghino venghino… pareva ‘na mummia… venghino siori il mummione siore… un manichino, tale e quale a quando lo vidi per l’ultima volta, nel 1947, sempre con quel dito per aria, e venghino, vidino, ridino… quel fascistone che aveva appena finito di perdere una guerra… “Arricoddati, nicarieddu, ca nu juornu addiventerai…”, s’era messo a parlare il siciliano, s’era messo… e gli mancava solo il barbone e lo giesucristu appiso allu cuollu e pareva Provenzano… “addiventerai nu signuruzzu”… e poi rotola fuori un televisore che manda delle immagini del tipo uno che tiene un fucile contro la spalla e mira a un altro che se ne sta bendato contro un muro di cinta di una villa nuova nuova, le mani legate dietro la schiena e il mento alto, e quello spara, il rinculo, il fumo dalla canna del fucile, e l’altro s’accascia, prima sulle ginocchia, poi su un fianco, poi quando è faccia a terra spuntano due paia di cosce lunghe lunghe sotto due tette da sballo, che a loro volta stanno sotto un sorriso tutto bianco, che a sua volta sta sotto due occhi grandi e azzurri, che a loro volta stanno sotto una chioma riccia riccia e bionda, che punta il dito contro il muro alle spalle dello sparato e dice: “Muratura Farinetti, è tutta un’altra morte!!”, poi si china, toglie la benda al cadavere, e chi è?… e sì, e sì, è mio nonno, e quello che ha sparato chi è?… è mia nonna e… Stemano, Festano, quando mi giro è il mio gatto morto vent’anni fa, e c’è mia madre che urla “Mettiti le pattine che ti possino…”… e mio padre che bestemmia, storge la testa e dice, “E fatemi seguire la partita della Juventus, li mortacci vostra… zitti!”… e me ne sto seduto con la schiena contro a una parete con quest’impermebile che non mi tolgo di dosso dal sessantacinque, un cappello mezzo mangiato dai topi, una macchina da scrivere con i tasti scombinati, un fiume di lettere e parole che mi si aggrovigliano nella testa e porcaputtana prima o poi dovrò pure farla finita con ‘sto Jack Daniel.

3 commenti:

marcello.bottega ha detto...

oh là... finalmente. Bravo Emilio, bel racconto, davvero...

Anonimo ha detto...

Hai capito...
bravo emiliuccio!

Anonimo ha detto...

Bella la scena della pubblicità, il resto...