lunedì 30 luglio 2007

Quegli occhi di fuoco

Andrea Galla

Il cielo è limpido, come quella notte di trent’anni fa, in un mondo che era un altro, in una strada fatta di boschi, ghiaia e ricordi.
Lei, ora, è nascosta dietro ad un castagno. Lo so, l’ho vista quando sono arrivato, con la sua aureola fatta in casa, il viso lungo, le orbite vuote, tutto come un tempo. Nella mano destra, i suoi occhi, sferici e perfetti. Mi sta osservando, ma la sua mano non si allunga più a donarmi il suo macabro trofeo. I suoi occhi, i miei occhi ciechi, per paura.
I miei occhi che hanno dimenticato, perché, a dodici anni, il mondo deve avere le sue regole, e se queste vanno in frantumi, cosa rimane se non la follia?

Camminavo sotto un cielo limpido, armato di un paio di sandali leggeri, una canottiera bianca, e sulle labbra il calore tiepido del mio primo bacio. A tratti correvo, felice, tra le fonde basse del bosco, la mia scorciatoia per arrivare a casa. Il mio sentiero segreto.
Fu in quel momento che li sentii: grida di pietà, tra grugniti di piacere e divertimento.
Rallentai, incuriosito, avvicinandomi a quelle voci,
fino ad una piccola radura.
C’era una donna che piangeva disperata. I suoi vestiti erano strappati, e il suo corpo nudo brillava alle stelle, bellissimo. Due uomini, con i pantaloni calati, già paghi, incitavano il terzo che, con veemenza, picchiava e abusava di lei, che si dibatteva, urlando e graffiando.
Poi, l’uomo, mise fine a quel gioco macabro, e con una pietra la colpì, riempiendo la notte di un silenzio freddo.
Io guardavo inorridito, con il cuore che galoppava forte.
L’uomo, piegato ancora sulla donna, si voltò di colpo, quasi avesse avvertito, annusandola, la mia presenza.
I suoi occhi rossi brillavano nella notte, il viso distorto dalla ferocia, quasi un demone, ancora assetato di violenza.
Mi vide, e il terreno sotto ai miei piedi tremò. Il suo sguardo di fuoco mi inchiodò al suolo, senza lasciarmi scampo: avrei voluto gridare o scappare, ma non ci riuscivo. Ora tocca a me, mi ripetevo, e lui lì, ancora fermo, con lo sguardo avido di sangue.
La voce di un suo compagno, - Questa è andata, amico -, spezzò l’incantesimo, e fui libero. Le gambe che mi tremavano, fuggii, senza guardarmi alle spalle. Veloce, perché la morte non mi raggiungesse.
Arrivai a casa, e mi rifugiai nella mia stanza, con mio fratello più piccolo che russava tranquillo, e mia madre già a letto.
Non dormii per tre notti, non dissi nulla a nessuno, la paura mi aveva paralizzato il cuore.
Ma ancora non era finita.
La domenica, pronto per la Messa, sentii le mani forti di mio padre posarsi sulle mie spalle. Eravamo soli, gli altri erano già in strada. Mi costrinse a voltarmi, mi fissò con quegli occhi che non erano suoi, ma di quel demone, quella bestia, che viveva nel bosco, e non parlavano di amore, no, erano solo minaccia, e dolore.
Fu in quel momento che la vidi, per la prima volta. Dietro mio padre, con il suo viso largo, capelli lunghi, e una piccola areola gialla.
Mi guardava con le sue orbite vuote, spaventosa, allungando la mano a porgermi qualcosa: i suoi occhi, i miei occhi, ciechi e pavidi, sul palmo della sua mano. Era la donna della sera prima, ma non era lei. Quello fu tutto, perché ciò che venne dopo fu solo allucinazione, dolore, e pazzia.
Nei sei mesi seguenti, lei mi fu sempre accanto, ogni cosa facessi, era lì, l’aureola come un neon difettoso, un incubo assiduo e spaventoso. Con il suo invito continuo, come a dire “Ecco i miei occhi, ecco i tuoi occhi. Contengono il ricordo, la verità.”
Ma io mi coprivo il viso con le mani, urlavo di dolore, senza ascoltarla.
Giorno dopo giorno, tra psicofarmaci e terapie, riuscii a dimenticare, pezzo dopo pezzo, quella notte, mio padre e, alla fine di un settembre piovoso, lei scomparve. Portando con sé il ricordo di quella notte.

Scomparve, fino a ieri.
Ero al telefono e la vidi, sull’uscio di casa, che mi fissava con le orbite vuote, il braccio teso verso di me, gli occhi sempre stretti nella mano destra, azzurri e grigi, come i miei. La riconobbi all’istante, e tutto quello che avevo dimenticato, rimosso per sopravvivere, esplose in centinai di frammenti, stordendomi.
Il bosco, le grida, quegli occhi di fuoco, gli occhi di mio padre.
La voce di un medico, dalla cornetta del telefono, chiedeva se mi sentissi bene. Mi stava dicendo che mio padre era appena morto, non ce l’aveva fatta.
Io nemmeno l’ascoltavo, perché finalmente ricordavo.

Sono tornato in quei boschi, ora un piccolo parco abbandonato, alla periferia della città.
Mio padre è morto, lui che l’ha uccisa, lui che teneva alto il velo scuro della paura, impedendomi di ricordare.
La notte è la stessa, il cielo limpido, e nel buio scavo in quella tomba improvvisata, perché questa storia possa avere fine. Per lei, che grida ancora da sotto il terreno morbido, per me, perché possa continuare a vivere, nonostante il rimorso.
Scavo, e ricordo, e l’odio verso mio padre, le sue bugie, le sue minacce, quei due occhi di fuoco nella notte, si condensano, in un magone di cristallo tagliente.
La mia pala tocca qualcosa, è lei. Lo so.
Mi volto, per cercarla dietro al castagno, ma lei non c’è, è finalmente scomparsa. Per sempre.
Scavo ancora, poi chiamo la Polizia.
Cosa racconterò, mi chiedo per un attimo, con il cuore finalmente libero, nonostante tutto.
E, come una carezza, affiora sulle mie labbra il ricordo tiepido di un bacio caldo: sono le labbra di Laura, nel nostro primo bacio, quella notte di trent’anni fa.

7 commenti:

Anonimo ha detto...

ogni cosa al suo posto...
un racconto vivifico...

ottimo.
ciao

A. ha detto...

Da quando l'ho vista, Lucy, mi ha accompagnato ogni momento, la notte, il giorno, fino a quando il racconto non è finito...
Fino a quando la sua storia non è stata raccontata...

(@scaravento: felice ti sia piaciuto!)

Andrea
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www.stanza2046.com

ValeriaPi ha detto...

Il racconto e l'illustrazione sono fantastici, si fondono insieme, e credo lo sarebbero stati anche se fosse avvenuto il processo contrario, cioè prima le parole e poi la creazione dell'immagine.

Mi piace tantissimo la costruzione di un racconto partendo da un'illustrazione, credo lasci aperte molte più porte all'immaginazione rispetto al percorso abituale.

bravi, complimenti!

Anonimo ha detto...

e basta con tutti questi "tiepido" e "limpido" e "assiduo" e "labbra" e "castagno" che sono il conato degli impediti.dai, intendevo te.

Anonimo ha detto...

Bello...
ciao da rosaluce

Anonimo ha detto...

piano piano scoprirò tutti i tuoi racconti..."BELLO! BELLO!"

ciao
Marco-fuerte

Anonimo ha detto...

leggere l'intero blog, pretty good