sabato 1 dicembre 2007

io

Andrea Gerbaudo

















Non è possibile. Forse inizio a essere un po’ stanco. O a soffrire un po’ di solitudine. Monomania. Megalomania. Insomma, una cosa del genere.

Però anche a guardare bene sembra proprio così. Mica mi sbaglio. O sì?

Ma sì, mi sembra evidente. Quello sono io. Io in ogni cosa. La barba, i capelli, anche il gesto. Come se mi avessero scattato una foto.

Dio santo. Qui mentre aspetto il dentista, qui su una rivista aperta per caso, su questa pagina che pubblicizza una macchina, un viaggio. Un vino, pubblicizza. “Il rosso con l’allegria addosso” e lì in mezzo io. Che rido. E bevo. Pazzesco. Resto col giornale aperto in mano. Intorno tutti zitti, sonnecchiano, nessuno s’accorge. Non si comunica mai, in queste situazioni. Peccato. Alla signora qui di fronte chiederei un parere. Ma lei è impegnata col telefono.

Poi la visita, quindi fuori mi riprende il pensiero. Vado in edicola. Chiedo il numero tale del tal settimanale. Non ce l’hanno. È vecchio, mi dice il signore. Ho quello nuovo. No grazie.

Che fare? Esito un attimo, ma in fondo ho già deciso. Torno indietro, suono, faccio un sorriso di scusa, fingo di aver scordato la sciarpa, mi aggiro un po’, dico chissà, fa lo stesso, tutta una scena, poi mentre mi giro per uscire infilo in tasca il giornale. È fatta!

A casa riconsidero, sto lì tutta la sera. Suggestione? Mi metto nella posa davanti allo specchio, la pagina aperta per terra. Io. Io sputato. Com’è possibile? Non ci dormo la notte. Il mattino dopo, una pietra nel cervello. Prendo il caffè con il disegno ancora di fronte. Così non si va avanti, decido. Devo sapere. Capire chi l’ha fatto.che senso ha questa storia. Perché un senso deve avercelo, questa storia.

Iniziano le telefonate. Alla redazione. Che mi passa il grafico. Che mi passa l’impaginatore. Mi riferisco a quel numero. Sì. A quella pagina. Cade la comunicazione. Richiamo. Tornato all’impaginatore, capita la faccenda, mi fa: ma è una pubblicità? Chiami l’azienda allora.

Già. Chiamo l’azienda. Che mi passa il settore commerciale. Che mi passa l’ufficio personale. Che mi passa il creative director. Che, incredibilmente, sa: il nome dell’artista che ha illustrato la pubblicità è M.C.

M.C..Non lo conosco. Cerco su internet. Il sito, poche cose, nessuna foto. Ma c’è l’indirizzo dello studio. Abita in una città non lontana. Bene. Nessuna esitazione, a questo punto. Il giorno dopo salgo sul treno, la faccia decisa e in tasca il mio bel ritaglio. Esigo spiegazioni, caro signore. Quando arrivo, vado a piedi fino in centro. Sono galvanizzato, mi sento vicino alla fine di questa storia. Perché un senso deve avercelo, questa storia.

Trovo lo studio. Mi apposto in un bar di fronte, pochi clienti, aria noiosa da capoluogo di provincia. Aspetto paziente. È quasi l’ora di pranzo, quando qualcosa accade. Esco in un balzo e mi dirigo deciso verso l’uomo che, voltato, sta chiudendo a chiave l’ingresso dello studio.

Mi scusi, azzardo.

Si volta.

Ha la barba nera, i capelli corti come me, gli stessi occhi. E li spalanca guardandomi. Le gambe mi cedono, mi appoggio al muro. E lui, senza riprendersi dalla sorpresa, punta il dito e dice:

ma allora sei tu!

7 commenti:

Anonimo ha detto...

...boh...
mi lascia perplessa
sarà che ho letto da poco
l'uomo duplicato
di JOSE' SARAMAGO
...
e questo brano me lo ricorda tanto
tanto.

però il finale è pieno di sublime ottimismo.
ciao

Anonimo ha detto...

hei Perplessa! ottime letture!
sei anche figa?

Anonimo ha detto...

no

marcello.bottega ha detto...

Chiunque tu sia, caro cane infoiato, hai lasciato un commento MERAVIGLIOSO!

Anonimo ha detto...

che brutto. che spreco. che noia. ma perchè non fai l'idraulico?

Anonimo ha detto...

Bravo comunque. Uno fa delle cose, poi se gli escono male pazienza.

Kay ha detto...

Quanta cattiveria gratuita in questi commenti! Io l'ho trovato un bello scritto: rende bene il senso d'angoscia che s'impadronisce di ciascuno quando si trova di fronte l'Inspiegabile.